E’ l’inizio del 2020 e il Covid è ancora “il virus cinese” che fa da sfondo alle notizie principali dei giornali. E’ in un altro continente, suona come una replica dell’allarme per l’influenza aviaria o suina, di quelli che vanno poi a finire con “tanto rumore per nulla”. Sembra un’epoca fa, in quel tempo in cui ci si salutava baciandosi e in cui vedere i giapponesi indossare mascherine nei luoghi affollati ci faceva sorridere, come di un’abitudine lontana anni luce dalla nostra cultura.
Proprio in quel gennaio 2020 un gruppo di amici, i “Pellegrini in cammino”, decide di mettersi in marcia lungo la Via Francisca del Lucomagno, il cammino che da Lavena Ponte Tresa conduce a Pavia lungo 135 km immersi fra laghi, parchi, fiumi e navigli. Decidono di percorrerla spezzettata come gite del fine settimana, ogni sabato una tappa per un totale di otto tappe. Otto settimane. Laura Silvestri, varesotta residente a Leggiuno sulle rive del Lago Maggiore, è entusiasta: da anni sogna il cammino di Santiago e questa può essere l’occasione giusta per mettere sé stessa alla prova sul lungo camminare, oltre che un’occasione per scoprire parti della provincia mai viste prime. Ma non solo, sarà un modo per passare un po’ di tempo con mamma Rosa e papà Giuseppe, anche loro due “Pellegrini in Cammino”.
Ma in meno di otto settimane, il virus che sembrava così lontano inizia a monopolizzare i titoli di giornali e notiziari. Per la prima volta sentiamo parlare di una città in “lockdown”, quella di Whan, e fanno la loro comparsa immagini surreali da futuro distopico, fatte di gente barricata in casa con medici e militari in tutoni anticontagio che richiamano alla mente quei film ambientati in scenari da disastro post atomico. I primi casi in Europa, la coppia di turisti cinesi bloccata in isolamento a Roma, il primo caso a Codogno. E da lì l’escalation: la zona rossa nel basso Milanese, la fuga di notizie su una possibile chiusura della Lombardia, la fuga delle persone dalla stazione Centrale di Milano, e poi la chiusura delle scuole, il lievito introvabile, i concerti sui balconi.
I “Pellegrini in cammino” sospendono le loro gite del sabato, tutto si blocca, tutto si ferma. Ci abituiamo alle mascherine, al gel per le mani, ai bollettini della sera. Non ci abituiamo alla conta delle vittime però, alle strazianti immagini da Bergamo e a quella sensazione di essere dentro, tutti, in una situazione inimmaginabile fino a pochi mesi prima.
Così è stato anche per Laura, e per la sua famiglia. Il virus non era più lontano, non era più una storia che parlava un’altra lingua, lontana un continente. Diventa realtà, diventa dramma, li travolge in quel dolore collettivo che ha investito il mondo: Giuseppe si ammala. Viene ricoverato e non ce la fa, il giorno di Pasqua il Covid lo porta con sé. Diventa parte di quei numeri annunciati ogni sera, numeri che hanno cambiato le nostre vite. Numeri che non sono numeri, ma famiglie che soffrono. Persone che spariscono.
Passa l’estate, si torna a respirare in tutti i sensi. Laura ripensa al diario che aveva iniziato a scrivere durante quelle gite del sabato lungo la Via Francisca del Lucomagno. Le è sempre piaciuto scrivere e il viaggio a piedi fornisce lo spunto, a chi ama farlo, dall’alba dei tempi. Aveva pensato, quando lo aveva iniziato, che sarebbe diventato un libro da lasciare alle sue figlie. I “Pellegrini in cammino” intanto ripartono, per finire ciò che avevano iniziato. Laura sceglie di andare con loro, ma non da sola. Giuseppe aveva iniziato quel cammino con loro e con loro doveva ultimarlo: decide così di indossare le sue scarpe, il suo zainetto e prendere la sua credenziale. Agli altri non dice niente.
Il giorno dell’arrivo a Pavia, il 18 ottobre 2020, Laura consegna alla Basilica di San Pietro in Ciel D’oro, meta finale di tutto il pellegrinaggio, non la sua credenziale ma quella del suo papà. Il Testimonium (il documento che certifica di aver percorso il cammino) riporta così non il suo nome ma quello di Giuseppe. E’ a quel punto che Laura svela cosa è accaduto ai suoi compagni di viaggio, leggendo loro ciò che aveva scritto la sera precedente, mentre erano in albergo. Nessuno se lo aspettava e l’emozione è stata grande.
«Il Cammino è servito per elaborare un lutto molto difficile. Purtroppo io e la mia famiglia, come ho ben descritto nel mio libro, abbiamo vissuto un inferno. Grazie ai Pellegrini in Cammino, sotto la guida di Silvano e Mario, io e la mia mamma siamo tornate a casa diverse, sempre con la malinconia, ma con il cuore pieno di gioia per la bella esperienza vissuta con amici speciali, in memoria di mio padre».
La Via è divenuta così un percorso, nel senso più ampio del termine. Un modo per andare avanti, passo dopo passo, nonostante ciò che lungo la strada era andato perduto. Un modo per sentire vicino chi non c’è più e per elaborare la perdita.
«All’alba dell’ultima mattina ho scattato una foto, con i compagni di viaggio controluce. Nel riguardarla mi sono poi accorta che era comparso un pallino verde, vicino a mia mamma. Mi ha emozionato, è sembrato un simbolo della sua presenza. Come se in quell’ultima foto ci fossimo tutti. Ancora una volta».
Il diario è diventato poi un libro, non solo per le sue figlie, ma per chiunque voglia leggerlo. Per ricordare a noi stessi e alle future generazioni quanto il Covid ci ha portato via. E quante scarpe vuote ha lasciato.
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