Lo splendido racconto dei due pellegrini Marta e Luca, che hanno percorso subito dopo il lockdown 4 tappe della Via Francisca:
Preambolo
Dopo tre mesi di lockdown, durante i quali il massimo tragitto percorso era stato dalla cucina alla camera da letto, un giorno ci siamo svegliati con un improvviso e impellente bisogno di camminare. Il ponte del 2 giugno ci consentiva di contare su ben 4 giorni consecutivi.
Un rapido sguardo alle varie possibilità (vigeva ancora il veto di uscire dalla Lombardia) ci ha fatto optare per la via Francisca del Lucomagno (a noi sconosciuta), e in particolare al tragitto Varese-Abbiategrasso (quattro tappe), ben collegato a Milano col treno. Abbiamo rimandato le due tappe restanti (Abbiategrasso-Pavia), altrettanto interessanti, a uno dei prossimi week-end.
Qualche telefonata per prenotare le notti (alcuni posti erano ancora chiusi per la Covid-19), i preziosissimi suggerimenti di Marika Ciaccia, le credenziali recuperate grazie a Caterina de iCaminantes, le mappe scaricate dal sito, una adeguata scorta di mascherine e amuchina, e via si parte.
Primo giorno
A Varese localizziamo il simbolo verde della via Francisca (da noi battezzato il “pelle-green”), che ci avrebbe fedelmente accompagnato nel corso di tutte le tappe. Qualche foto al centro della città, una visita ai Giardini Estensi, dove apprezziamo il carpineto e il lago dei cigni (e un toast al chioschetto) ed eccoci in marcia verso Capolago: tratto da noi apprezzatissimo, in mezzo alla natura, con il cinguettio degli uccelli (e l’avvistamento di un codirosso).
Prima sosta all’Osteria del ponte, con misurazione della temperatura (ci capiterà varie volte) e un ottimo pranzo a base di tartare e tagliata, e dove il simpatico proprietario pone il primo timbro alle nostre credenziali. Ripartiamo alla volta di Castiglione Olona, dove alloggeremo (presso la Corte delle stalle), percorrendo un tratto piuttosto brutto su e giù per strade asfaltate. Per fortuna non fa troppo caldo. La fatica è comunque premiata: Castiglione Olona è un posto bellissimo.
Secondo giorno
Gabriele D’Annunzio ha definito Castiglione Olona “un’isola di Toscana in mezzo alla Lombardia”. Questo paese è infatti famoso soprattutto per gli affreschi di Masolino da Panicale, il pittore della Valdelsa maestro del Masaccio. Passiamo la mattinata a visitare la Collegiata (imperdibili gli affreschi del battistero) e il palazzo Branda (la residenza del cardinale – quasi papa – Branda Castiglioni, un personaggio tutto da scoprire), con una
puntatina al museo dell’arte plastica (negli anni settanta diversi artisti del tempo – tra cui Enrico Baj, Carla Accardi e perfino Man Ray – sono stati invitati a realizzare opere con materiale fornito dalla fabbrica Mazzucchelli, la più importante in Italia per la produzione di
plastica).
Un po’ in ritardo sulla tabella di marcia partiamo alla volta di Castellanza, attraverso un piacevolissimo percorso lungo il fiume Olona. La prima parte è notevole, lontana dal traffico (ci imbattiamo in uno scoiattolo che saltella da un albero all’altro). Facciamo sosta al monastero medioevale di Torba: le visite sono contingentate per via della Covid-19, ma abbiamo la fortuna di riuscire a inserirci in un gruppo per l’assenza di due partecipanti. Da vedere il video di presentazione, che racconta la storia affascinante del monastero. Per non
tradire la nostra vocazione di “pellegrini gourmet” (risparmiamo volentieri sull’alloggio, ma sul cibo non esitiamo a metter mano al portafogli…) ci fermiamo al ristorante ospitato nel monastero (l’antica torre) per un ottimo pranzo.
Ripartiamo, e dopo un lungo tragitto decidiamo di rifocillarci all’Approdo Calipolis, segnalato nella google map. Purtroppo l’approdo è chiuso, ma qui incontriamo casualmente Claudio e Aurora, amici della via Francisca, che impietositi ci offrono gentilmente un caffè e chiacchierano un po’ con noi. Dopo la foto di rito, ripartiamo per Castellanza, dove alloggiamo in un altro posto imperdibile: il Piccolo mondo antico.
Terzo giorno
La mattina Michele, gestore del b&b, ci illustra il suo “piccolo mondo antico”: un giardino selvaggio, pieno di piante e fiori di ogni tipo (ci colpiscono, per il profumo, la limoncina, l’incenso e la menta al cioccolato) e un cortile traboccante di pentolame e oggetti di ogni genere. Ripartiamo inoltrandoci nel parco dell’Alto Milanese, dove avvistiamo numerosi conigli selvatici e splendide farfalle. Pizza gourmet a Buscate, breve sosta a un parco, e di nuovo in cammino verso Cuggiono (qui c’è forse la parte più brutta del percorso, su strade asfaltate, trafficate e sotto il sole). Ci riposiamo un attimo alla villa Annoni, con i suoi pavoni, e di lì arriviamo a Castelletto, da cui parte il tratto più bello del nostro tragitto, la pedonale lungo il naviglio grande.
Il primo tratto verso Bernate Ticino, che percorriamo nel tardo pomeriggio, è indimenticabile.
A Bernate siamo ospitati da Marco presso la Ca’ Nobil, consigliatissima. La sera ne approfittiamo per un giro in barca con Angelo alla “lanca” (termine tecnico a noi ignoto che scopriamo riferirsi a una rientranza fluviale, in questo caso del Ticino, con acque stagnanti) per vedere, insieme a Claudia e alle sue simpaticissime figlie Sveva e Olivia, il tramonto e le prime lucciole. Nell’acqua scorgiamo anche una nutria.
Quarto giorno
Si riparte alla volta di Abbiategrasso, costeggiando il Naviglio. È il 2 giugno, c’è un tempo bellissimo, è la prima vera giornata di festa dopo il lockdown e in giro c’è il mondo: una moltitudine di biciclette in entrambe le direzioni rendono il nostro cammino non proprio agevole, mentre il sole picchia. Sosta caffè a Boffalora sopra Ticino e pranzo a Robecco sul Naviglio all’osteria della Ripa (non dimenticheremo facilmente il loro polpo in tempura al nero di seppia…). Riposino tattico nel parco accanto al Palazzo Archinto, e si riprende il cammino sotto il sole cocente.
La prossima destinazione è il treno per andare a Milano: abbiamo la cattiva idea di andare a prenderlo ad Abbiategrasso invece che alla stazione di Albairate (come era la nostra ipotesi iniziale). Il treno è preso d’assalto dalle bici, che non permettono di mantenere il necessario distanziamento fisico prescritto per la Covid-19. Il capotreno chiama la polizia che, in un clima decisamente concitato, costringe qualcuno a scendere (il giorno dopo Trenord deciderà di vietare il trasporto bici durante l’emergenza coronavirus). Dopo circa un’ora e mezzo di attesa finalmente il treno parte, ed eccoci a Milano, giusto in tempo per… il diluvio universale. Ma ormai, per fortuna, siamo a casa.